CAPITOLO III

CAPITOLO III

SCRIVO POESIE PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
SCRIVO
Ed è qualcosa di te sussurrato
un migrare di scarabocchi
POESIE
nate per caso che serrano le labbra
e scendono al cuore.
PER PORTARMI
a te che del mio scrivere
attendi il bacio
A LETTO
con gli occhi che sorridono
mentre un pensiero
ti avvicina alla mia mano
LE RAGAZZE
come le altre avevi grandi sogni
infranti al cospetto di parole vuote.
( i poeti che brutte creature)
Paolo Amato

L’UBRIACONE
(sottotitolo: E…)
E ti senti una merda. E ti alzi con la bocca che sa di amaro e la testa che sembra staccata. E dici: “stavolta smetto”. E ci pensi, un ora, due ore. E la vedi. E ti fissa dal tavolo, quella stronza bottiglia di whisky. E te ne vai, sperando che restarle lontano sia la soluzione. E ti senti inadeguato. E pensi che gli altri sono meglio di te. E la desideri. E speri nel suo oblio. E sogni che la gente ti apprezzi, ma non lo fa. E cedi a lei. E la apri. E senti il fuoco scendere nella gola e il cervello che si stacca dalla testa. E ti senti bene. E sai che, domani, sarà ancora peggio.
Lodovico Ferrari

QUANDO ERAVAMO GIOVANI
La cena era alle otto; arrivai alle nove. Temendo noia o litigi m’ero fatto una supermega canna a metà percorso. Colpa del fumo, della mancanza di senso dell’orientamento, del navigatore sconfitto dalle colline, e dalle indicazioni di Giorgio, a mio avviso, appositamente imprecise.
“Alla rotonda dell’Esselunga di Castello prendi la destra, dopo qualche chilometro c’è un incrocio, prendi la strada della cappelletta, prosegui sino allo spiazzo sulla sinistra, superalo, entra nello sterrato a destra, passa le case in legno e parcheggia dove puoi. Un chilometro a piedi, attento che il sentiero si biforca, arrivi al ruscello, passi il ponticello in legno e ci sei!”
La canna me l’ero fatta alla cappelletta, poi m’ero comodamente disperso.
Trovato e superato finalmente il ponticello ero uscito dalla macchia boschiva ed eccola lì, una baita di collina, bassa e rustica, con un accanto un pozzo e un forno in mattoni. Nell’ampio spazio davanti c’erano parcheggiate le macchine degli amici: due Mercedes, una Bmw, una vecchia jeep militare perfettamente tenuta. Ci si arrivava comodamente in auto. Il solito scherzo idiota. Come quando eravamo giovani.
Graziano Gattone

CONFESSIONI DI UN CODARDO
La puzza di questa città che conosco a malapena mi impregna i vestiti. Me la porto addosso, tra i capelli e sulle mani e nelle mutande. Di notte mi sveglio e la sento, ferma sul mio letto, come una coltre di nebbia, come un lenzuolo sospeso.
La puzza di questa città somiglia all’odore acre di carne putrefatta, di pelle secca e di morte.
La puzza di questa città sono io, sono io che ho smesso di vivere per paura di vivere, che ho smesso di crescere per paura di invecchiare. Sono io che ho barattato i miei 30 anni con una dose di giovinezza fasulla, ma sono morto.
Si, la puzza di questa città mi ricorda che sono morto, ma non abbastanza morto per renderti orfano, come ti hanno fatto credere per 18 anni.
Certe assenze diventano presenze mai esistite e certe bugie ripetute troppe volte diventano verità. Ed io, io non ci sono mai stato facendoti credere di essere morto.
Perdonami. Perdonami come si perdona un farabutto, un codardo. Perdonami come si perdona uno sconosciuto.
Buon Compleanno.
Papà.
Marcello Perugia

DONNE: LADY “D”
Donna,
delicato dono di Dio!
Diabolico disegno di desiderio!

Dedalo divino di delizie
dove dignità dimora,
dimostri dovunque doti, dirittura, decoro.

Diva determinata,
dapprima divampi, dilaghi, dardeggi,
dopodiché dialoghi docile, devota, disarmante.

Dama dannatamente despota,
dirigi, disponi, domini,
dipoi diventi democratica, dimessa, disponibile.

Dea della disciplina domestica,
dispensi doni, discrezione, dolcezza,
distrai dai diluvi dei dispiaceri,
difendi dai deliri della disperazione.

Disinteressata, dai dritte.
Disillusa, dissuadi.
Dissacrante, diverti.

Dogma di danno durevole,
desiderosa di destino diverso,
diventa difficile dimenticarti.
Claudio Sara

NOTTE IMBECILLE
Dietro i vetri di una finestra chiusa
guardo fuori nel buio la pioggia battente.
I miei sensi, espansi all’ennesima potenza,
quasi percepiscono il suono
di ogni singola goccia d’acqua
che cade sui ciottoli del cortile.
Il tuo biglietto, stropicciato tra le mani,
ancora una volta mi ricorda
che ormai non ci sei più.
Più niente delle nostre passeggiate al crepuscolo,
più niente delle nostre serate accanto al camino
a raccontarci le cose del giorno trascorso
Una telefonata nella notte e
tutto è cambiato in un lampo.
Lo stridio dei freni sull’asfalto
e la tua vita, la mia vita, hanno smesso di esistere.
In questa notte imbecille
che senso ha continuare a ricordare
Come le gocce di pioggia
che si dissolvono al suolo,
così la mia vita, allo stridio di quei freni.
Annamaria Vernuccio

SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO?
– Oh, Romeo, Romeo, indo’ tu vai così di buon’ora? L’è ancora buio, un tu lo vedi?
– V’ingannate madonna Giulietta: il cielo sta per tingersi dei colori dell’alba. Non udite il dolce canto mattutino dell’allodola?
– Vien via, grullo! Codesta un l’è l’allodola, l’è l’usignolo che bercia su i’ melograno e ci frahassa i timpani. L’è peggio d’un gatto nero attaccato ai marroni, maremma buhaiola!
– Deh, mia diletta, il vostro linguaggio non si addice a una leggiadra fanciulla quale voi siete. Colui che ci creò si rivolterebbe nel sepolcro, se potesse udirvi. E pensare che venne perfino a risciacquare i panni in Arno…
-Sie! Icché tu dici, bischero? Quello l’era i’ Manzoni. Shakespeare un l’ha mai fatto di veni’ a sguazzare in Arno. Poi, che c’hai da ridi’ sul mi’ idioma? Miha son fatta della materia de’ sogni, io! Son tutta un foho, c’ho i’ chianti che mi ribolle ni’ sangue! Dunque, lascia stare codesti uccellacci e torna ni’ letto, che ti do una ripassata che te la rihordi per tutta la tu’ vita.
Anna Rita Foschini

CENA A SBAFO
Lawrence si guardò rifletto nel calice di vino rosso. L’annata non aveva importanza, tanto non lo avrebbe pagato.
Lawrence. Nome nobile per un mentecatto.
Anche se vestito così, aveva un certo fascino; giacca, cravatta, capelli impomatati.
Il lampadario di cristallo del ristorante intrappolava riflessi d’arcobaleno in gocce. I tavoli brulicavano di imprenditori snob, mogli frigide e rampolli viziati. La cosiddetta crema dell’alta società.
Clientela prevedibile per un posto come quello.
Lawrence abbassò gli occhi sugli avanzi del filetto al pepe verde. Antipasto, primo, secondo e vino, per un totale di centodieci euro, minimo.
Assurdo.
Si frugò nella giacca e prese il kit d’emergenza.
Capelli, vetri o moscone?
Chiuse gli occhi e si appellò al metodo Stanislavskij.
“Oddio, potevo morire” cominciò a sbraitare, furioso.
“C’è un pezzo di vetro nel mio piatto.”
Il cameriere arrivò di corsa, imbarazzato e ricurvo, sfoderando scuse e giustificazioni.
“Non so come sia successo sir” piagnucolò. “Naturalmente offre la casa.”?”Lo credo bene, volevate uccidermi.”
Lawrence uscì dal locale, indignato, fra gli sguardi attoniti dei presenti. Missione compiuta.
Ormai era un esperto, di cene a sbafo.
Samuele Fabbrizzi

IL CRIMINE PAGA SEMPRE
Mi sedetti. L’ombra lunga dell’albero sembrava una freccia che puntava verso mio futuro. Aprii quel libro che sapeva di famiglia, di casa. Rilessi quelle parole: “”No, adesso non posso pensare – si diceva – dopo, quando sarò tranquilla” – ma questa tranquillità per riflettere non veniva mai” e poco dopo Anna Karenina si sarebbe gettata sotto il treno.
Amavo quel libro, amavo mio padre, ma nessuno amava me.
Lo gettai sull’erba insieme al blocco di carta e alla matita che avevano raccolto i miei pensieri più intimi. Presi la scatola di fiammiferi dalla tasca dei pantaloni, ne accesi due e affidai al fuoco il compito di incenerire la mia vecchia vita.
Fragili brandelli di carta bruciata volavano nel vento, neri come la mia nuova anima.
M’incamminai sul sentiero che mi avrebbe riportato al paese. Non sarei più tornato in quel luogo.
La sera seguente, mentre affondavo il coltello nella gola di quella ragazza, sentii di avere compiuto il grande salto. Ero un carnefice, finalmente, non più una vittima.

Michael fu arrestato, anni dopo, con l’accusa di avere ucciso otto studentesse. Sembrava felice.
Lodovico Ferrari

IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, È IL MIGLIORE
Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore: soprattutto se è anche l’ultimo!
Luigi Siviero

TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
Taccuino di un vecchio porco:
– Grugnire.
– Grufolare.
– Conoscere biblicamente la scrofa.
– Fumare.
– Grufolare.
– Grugnire.
– Dormire.
– Grugnire dormendo.
– Comporre una poesia sui grugniti in endecasillabi martelliani.
– Sguazzare nel fango.
– Sguazzare nello sterco.
– Grugnire.
– Guardare Peppa Pig.
– Sguazzare nello sterco.
– Conoscere biblicamente la scrofa.
– Fumare.
– Conoscere biblicamente la scrofa.
– Fumare ancora.
– Mordere la mano che mi nutre (così, perché mi va)
– Grugnire.
– Grugnire.?
– Osservare le stelle.
– Ancora grugnire.
– Grufolare.
– Allenarsi a fare finta di niente (per quando verranno a prendermi)
– Scavare un tunnel in una parete.
– Coprire il tunnel con un poster con sopra una bella maiala.
– Consueta partita a scacchi.
– Grugnire.
– Dormire.
– Forse sognare.
Maurizio D. Capuano

SEDUTO SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
E’ tutto quello so fare adesso.
Lavoravo al Circo della Luna. Ero nato lì.
Mio pare era nato lì, faceva il lanciatore di coltelli.
Anche mia madre era nata lì, faceva le acrobazie sui cavalli.
Io ero bravo con la acrobazie sui cavalli, ma mio padre diceva che non era una roba abbastanza da maschi , per i maschi ci voleva una cosa che uno doveva dimostrare di averci il sangue freddo come l’acqua che scorre sotto la superficie ghiacciata del fiume d’inverno. Deve scorrere così freddo e così lento che il battito del cuore non lo devi sentire.
LulaBelle aveva degli occhi verdi come i prati a maggio. Era così esile che appesa alla ruota di legno sembrava una bambina, ma con lo sguardo fiero e diritto.
A me però non scorreva sangue ghiaccio nelle vene, io tremavo quando c’era lei, forse l’amo, così pensai.
E un giorno la mia mano vacillò.
Mariella Giunta

LE DONNE CHE SEGUIVAMO
Anche quel giorno avrei dovuto seguire mia sorella Lucia. Bene: meno compiti. Il peggio era sopportare Salvatore, fratello della sua amica Filomena. Uscivano sempre insieme, guardavano le vetrine con vestiti attillati, scarpe coi tacchi alti, poi abbassavano gli occhi sui calzini corti e le scarpacce rozze e ridevano per consolarsi. Non capivo quei divieti, quelle botte da parte di papà: mia sorella era dolce e buona . Salvatore sbuffava: – Bah! Femmine!- Per seguirle doveva rinunciare alle corse in bici e alla pesca di rane da torturare.
Al mercato si fermammo a rovistare tra petardi e castagnole ; un attimo e le ragazze erano sparite. Salvatore corse per la piazza infilando lo sguardo in ogni viuzza. Lo seguii . Entrò in un cortile:
– Che zoccola!- mi alitò stringendo gli occhi, poi partì a razzo verso casa. Dietro l’angolo mia sorella stringeva le mani di un ragazzo, sorrideva. Salvatore era lontano, non avevo avuto la prontezza di bloccarlo. Davanti a me già vedevo le cinghiate di mio padre frantumare la felicità di Lucia. Mi girai contro il muro e piansi.
Consuelo Lanzara

CE L’HANNO TUTTI CON ME
Sono tormentato. Segregato, in casa, guardo i piatti da lavare. Ho i piedi gelidi.
Fuori è caldo, la luce entra e mi dice che c’è il sole e persino la vita. Chi lavora, chi si procura il cibo. Chi lotta per non scolorirsi.
A me non va. Sbiadite voi, umani. Io mi angustio coi miei mostri che mi dicono “Buongiorno” e mi mantengono vivo.
Social maledetti. Non si deve sapere che sono nato, un oggi di molti anni fa.
Ce l’hanno tutti con me.
Mi aggrediscono. La mia prima moglie, una stronza. Mio figlio, che è diventato come lei. ?Persone schifose. Io non sono migliore, ma neanche peggio.
Non mi ammazzerò, tranquilli. Voglio che siate voi a farlo.
Tonia mi telefona: “Buongiorno, amore.” e mi sciolgo.
Lei ama il buono che è in me, dice che ce n’è.
Ehi, specchio, mi perdo qualcosa?
Vediamo. Niente pancia, nessun capello bianco, il coso che penzola e funziona. Sorrido. Penso alle parole di Tonia, caramellose. “Buon compleanno, amore. Vieni da me, stasera?”.
Francesco Marcone

L’AMORE È UN CANE CHE VIENE DALL’INFERNO
Lui è sdraiato, nudo, con mani e piedi legati alle quattro estremità del letto.
Anche lei è nuda, ma è in piedi ed impugna un coltello.
È stato lui a chiedere a lei di essere legato, per provare un nuovo gioco erotico, l’ennesimo gioco erotico. Ora è terrorizzato e la implora, singhiozzando le dice che la ama, che ha bisogno di lei.
Lo sguardo di lei è duro, freddo, determinato. Per un po’ ascolta le sue suppliche e poi si avventa su di lui. E colpisce. Una, due, dieci volte. Lui urla, si dimena, ma è impotente. Lei continua a colpire. Con forza. Con ferocia. Con rabbia. Colpisce fino a quando sente che il corpo di lui non si muove più.
Allora si ferma, avvicina il viso a quello di lui, lo bacia sulle labbra e gli sussurra all’orecchio “ti amo anch’io”. Infine sputa sulla nudità del padre.
Marcello Mora

UNA NOTTE NIENTE MALE
Silenzio. Finalmente dorme e ha smesso di urlare.
Mi godo la quiete di questa dolce notte di primavera. Mi arrivano rumori lontani che solleticano le mie orecchie stanche di sentire le solite lamentele, “è solo colpa tua”, “non mi stai mai a sentire”, “te l’avevo detto”… Penso con angoscia che domani sarà il mio primo giorno da pensionato e non avrò più requie. Sento il richiamo di un uccello, il rumore della risacca, il frinire dei grilli.
Ecco, questo è tutto ciò che voglio sentire. Sarebbe bello avere un filtro che seleziona solo i rumori piacevoli. Si fa strada un’idea, sono abbastanza anziano da poter essere un po’ duro d’orecchi. Mi fingerò sordo, poco per volta lei la smetterà di strepitare! Smetterò anche di parlare, tanto per lei dico solo scemenze. Sentirò solo ciò che voglio e non parlerò più perché tanto non ho niente da dire. Sorriderò, perché i sorrisi non rompono il silenzio e se piangerò lo farò vicino al mare che con la sua voce coprirà i miei singhiozzi. E’ un’idea niente male, davvero niente male.
Maluna Viola

QUELLO CHE IMPORTA E’ GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Tanfo. Olezzo. Puzzo. L’aria è ancor più irrespirabile stamane al lazzaretto. Qualcun altro ricoverato in questo gelido androne deve essersene andato, lasciando qui il suo odore. Mi abituerò anche a questo. Già mi sono abituato al dolore, al costante stato febbrile e all’idea che questo tetto di legno sarà l’ultima cosa che vedrò. Ma vi è una cosa cui non mi abituerò mai. Al prurito causato da quei neri e sempre più ingombranti bubboni sotto le ascelle. Provando sempre più pena e disgusto per me stesso cerco di dare sollievo alla mia anima nell’unico modo che conosco. L’unghia del dito medio della mano destra è quella più lunga ed efficace. Sgrat sgrat. E torno a respirare.
Cinzia Colantoni

IL SOLE BACIA I BELLI
Si, lo sappiamo, lo dicono tutti: il sole bacia i belli!
Non c’è bisogno di ripeterlo continuamente. Noi ne siamo consapevoli, da sempre.
Abbiamo grandi occhi, vispi e assonnati. Il nostro corpo è elegante, con un pelo lucido e morbido.
Siamo affettuosi e abbiamo voglia di coccole, ma siamo anche indipendenti. Saggi, molto saggi.
Misteriosi e giocherelloni. Siamo anche dolci, però. A volte abbiamo voglia di solitudine, ma quando abbiamo fame, diventiamo molto socievoli. Furbi, molto furbi.
I gatti, belli e affascinanti!
Daniela Rossi

SVASTICA
Guardava oltre il ferro acuminato
dove nulla era perduto
Anna raccontava magiche storie di poeti
musicisti e giocolieri
Danzava al suono dei violini
con il fuoco dentro il cuore e
nella memoria una svastica
Marina Lorena Costanza

A SUD DI NESSUN NORD
Sbarcammo di primo mattino, girovagammo per mesi. Con la Crisalide, un maestoso veliero portoghese, partimmo alla volta dell’avventura.
La nave ondeggiava fra spumosi zampilli d’acqua salata, profumo di noi, gente di mare.
Sembrava che cielo e mare si specchiassero. La linea dell’orizzonte era impercettibile e l’oceano era infinitamente limpido e azzurro.
Trascorsero infiniti giorni ed infinite notti e le stelle, incastonate come diamanti nel cielo, s’improvvisavano bussola per noi naviganti.
Sbarcando a notte inoltrata, godemmo di uno dei più bei spettacoli che la natura potesse regalarci a sud di nessun nord: l’aurora boreale.
Partimmo di primo mattino, il mondo era ai nostri piedi.
Vincenzo Attolico

PANINO AL PROSCIUTTO
Avevo tanti ricordi, tanti profumi
e foglie da conservare. Restavano quelli, ed il sapore di un bacio perduto. Rimanevano i lividi ed i tormenti. Raccoglievo giorno per giorno le tue malinconie facendole mie. Consapevole di amarti. Conservavo le scarpe, i tacchi, la valigia, le foglie di tiglio e di betulla. Calle essiccate nei libri, conservavo ipotesi. Ogni volta che sentivo il sapore ed il profumo di un panino al prosciutto, pensavo a te.
Sinestesie dell’amore vissuto. Raccoglievo memorie e ricordi.
Raccoglievo speranze andate. Rubavo il tuo amore.
Anna Dixie

BIRRA FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
Sto vivendo una situazione anomala: è la prima volta che mi ritrovo di sera sola in casa.
I ragazzi sono partiti stamattina per la colonia e mio marito tornerà soltanto domani da una trasferta di lavoro.
Ovviamente non ho nessuna intenzione di mettermi a stirare o a cucinare, Voglio godermela. In tv non c’è nulla di decente, per una volta che potrei scegliere io il programma, e mi accorgo di non avere nessun libro stimolante. Opto per un buon bagno e la musica a tutto spiano.
Poi mi ricordo di non aver fatto la spesa. Mi ritrovo così davanti alla tv a guardare una cacchiata di sceneggiato in compagnia di fagioli e crackers. Voglio rovinarmi, stappo una birra e mi accendo una sigaretta. Mah … dopotutto non è così male.
Lucia Amorosi

LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Aprii gli occhi nell’oscurità e fra le esplosioni. La testa mi scoppiava, in bocca il cattivo gusto del cibo rimescolato all’alcol: il rigurgito dell’ultima sbornia. Puzzavo. Dovevo alzarmi. Lavarmi. “Cristo, tutto trema e non si vede un cazzo”. Anche il letto puzzava. Richiusi gli occhi stringendo fra le mani le tempie. Il sangue pulsava. Tutto pulsava. Non ricordavo neppure com’ero arrivato a letto. Dovevo esserci crollato. Sarei tornato volentieri nell’incoscienza del sonno, ma rimbombava ovunque, dentro e fuori di me. Feci forza sul braccio destro, mi tirai seduto, riaprii gli occhi. Più che vederlo sapevo che sul comodino c’era l’interruttore della luce: lo pigiai. Il chiaro deflagrò come le continue esplosioni. “Cazzo sta succedendo?” Accanto ai miei piedi una bottiglia riversa e dei fogli sparsi. Ne raccolsi uno intonso, lo appoggiai sul comodino, c’era una penna, scrissi a fatica:
il mondo vomita la propria fine
come un ascesso che tracima pus
Un allegro jingle uscì dal cellulare. Risposi. Era Carlo che urlava come un dannato:
“Buon anno pirlottone. Cazzo! te la stai proprio spassando… si sentono i botti dal telefono”
Graziano Gattone

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
“Vorrei una farfalla”, disse la ragazza a Manuel.
“Ok. Accomodati. Come ti chiami?”, le chiese preparando gli strumenti per il tatuaggio.
“Barbara”.
“Bel nome. Ti si addice”.
“Davvero? Perché?”, chiese incuriosita.
Perché in te c’è una bellezza selvaggia”.
“Quindi ti piaccio”, sorrise maliziosa.
“Davvero tanto. Per questo ti farò un tatuaggio speciale!”, esclamò infervorato. Quindi cominciò a iniettare l’inchiostro nel candido seno di Barbara.
Lei lo osservò silenziosa.
“Ho finito. Puoi guardare”, disse Manuel soddisfatto.
“Oh no!”, urlò la ragazza, “Che orrore! Questa farfalla ha un’ala spezzata”.
Poi indietreggiò terrorizzata mentre l’uomo avanzava con fare minaccioso. Manuel stava per scrivere l’ultimo capitolo della storia di Barbara, la fanciulla a cui rubò la vita.
Patrizia Benetti

NIENTE CANZONI D’AMORE
Sdolcinate parole che cantano dell’amore, parlano d’amore, vestono l’amore. Ma l’amore si può rappresentare? Seduta sulla sedia di cucina, davanti ad un caffè fumante, s’interrogava sul significato dell’amore. Troppo spesso, pensava, viene gettato nelle mani di chi crede che con le sole parole si possa esprimere il suo vero Io. L’amore è sensazione, emozione, sentimento. Non necessariamente parole, ma piuttosto melodia, suono, note che si susseguono, note che s’incatenano in un intreccio empatico ed armonico.
Melissa Ci

TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
C’è una sorta di magia nel giocarsi il culo al gioco.
Capitemi: è tutto quel che avete. A voi importa, eppure credete non sia abbastanza. C’è di più.
Forse è vero, forse è solo un inganno di una mente malata. Cristo, ci vorrebbe uno psicologo.
Ma scommetto – che ci volete fare: è un vizio – che nessuno di voi si è mai giocato tutto.
Io sì.
Davvero.
L’ultimo euro nei pantaloni.
E quando quello spicciolo orfano rotea in aria, poi atterra, infine esce dal lato della vittoria, cazzo, è pura magia.
Chiedetelo al Giocatore di Dostoevskij. Lui, il culo, se l’è fottuto alla roulette.
Fante al poker.
Bukowsky ai cavalli (lui aveva rispetto per il denaro, però. Sapeva cos’era una panchina nel parco, all’agghiaccio di notte.)
Hemingway, invece, l’azzardo l’ha tentato contro la vita stessa.
Ha perso.
Come tutti, del resto.
O credete che un giocatore, alla fine possa uscire vincente?
Eppure, quella magia è meravigliosa. È l’ “io posso”.
E anche la sconfitta, forse di più: senza soldi resta solo l’uomo.
E le parole, alla macchina da scrivere.
Matteo Pisaneschi

SANTO CIELO, PERCHE’ PORTI LA CRAVATTA?
Test di personalità.
Porto la cravatta perché ….:
a) se decidessi di non portarla più, mi crollerebbe tutto il mondo intorno.
b) mi rilassa. Tutte le mattine, mentre faccio il nodo, non penso a niente.
c) la portava mio padre e le tradizioni sono importanti.
d) sembro più figo e acchiappo di più
e) sono obbligato per il tipo di lavoro che faccio, ma mi ci appenderei ogni mattina.
Profilo a: – Visione egocentrica. Corretta se sei il presidente degli Stati Uniti. Ma non lo sei, rilassati.
Profilo b: – Potenzialità inespresse. Cerca di entrare in contatto con i tuoi sentimenti. Tranquillo, c’è abbastanza amore per tutti.
Profilo c: – Tendenza all’annullamento. Resisti alla tentazione di guadagnarti l’amore degli altri facendo regali o complimenti forzati. Non reprimerti, il mal di schiena sparirà.
Profilo d: – Comportamento difensivo autocelebrante. Accetta di crescere, regala aiuto e attenzione e ne riceverai anche tu.
Profilo e: – Tendenza a moraleggiare. Impara ad ascoltare gli altri e non sopravvalutare il denaro come fonte di potere. Smettila di sognare soltanto, vivi!
Cristina Cornelio

URLA DAL BALCONE
Alzarono Tutti il volume della TV.
La Disperazione altrui infastidisce.
Wilhelmina Vagante

PALP. UNA STORIA DEL XX SECOLO
Le “mani morte” sui bus non passano mai di moda!
Sonia Tortora

SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Cerco la vena ispiratrice accompagnando il mio strano pasto con l’whisky. Ho la bocca impastata. Certo non è un pranzo salutare ma adoro l’incertezza, la casualità, l’improvvisazione.
E’ propria del poeta, è quel misto di genio e sregolatezza che fa la differenza. Il mio povero fegato, e la testa mi fa un male cane, ma anche questo fa parte del gioco. Io sono grande e mi nutro di idee.
Patrizia Benetti

COMPAGNO DI SBRONZE
La tizia entrò sola e le lacrime uscirono dai suoi occhi azzurri cerchiati di rosso. continuai a passare lo straccio sul bancone. rapidamente frugai nel piazzale alla ricerca di qualche bastardo artefice di quel dolore, poi resettai lo sguardo su lei, ora seduta sullo sgabello. le sue unghie curatissime vicine alle mie bianchicce e opache per l’ammollo prolungato sotto il gettito d’acqua di quel maledetto rubinetto che riuscivo a chiudere solo a notte inoltrata. m’attaccai alla bottiglia buona tenuta nel sotto lavello. il principale nel passare s’attardò con la mano aperta sul mio culo. lei mi guardò complice e invitante, sciolsi così il nodo nero del grembiule, afferrai la bottiglia e percorsi la pedana di legno rasentando il bancone dalla parte dei clienti, la presi sottobraccio. il suo passo cadenzato sul mio percorse i vicoli della metropoli. sulle scale di un edificio svuotato dribblavamo lattine e bottiglie vuote che incespicandosi nei piedi finivano per ruzzolare qualche piano dabbasso. sotto una enorme elica ficcata in un vuoto tondo fra mattoni rossi ci finimmo la bottiglia postandoci a vicenda. nominando conoscenti.
Franca Riso

MUSICA PER ORGANI CALDI
Non riusciva. Aveva l’intera melodia in mente. “Vedeva” la musica, i tempi, le pause. Ma la partitura non rendeva. Era forse stanco, la tosse non lo lasciava dormire. Stracciò di nuovo il tutto, alzandosi dal pianoforte. Parigi era gelida, quella mattina. Aveva appuntamento con lei, alle 10. Avrebbero preso il caffè e George gli avrebbe parlato di “Pauline”. Lui amava ascoltarla. Qualcuno batté alla porta, col pesante batacchio. “ho pensato che questo freddo non ti facesse bene, sei appena guarito dalla tua solita bronchite”. Non facevano l’amore da tre settimane. In un attimo si cercarono, spargendo i vestiti sul pavimento. La musica guidava i movimenti, la tosse lo lasciò in pace. Dopo lei s’alzo, aveva voglia di un caffè. Mentre miscelava la polvere, dal pianoforte udì le prime note e si bloccò con l’acqua che gorgogliava. Sentiva la musica scriversi sulla sua pelle e sull’anima, ancora nude.
Roy Roberto

TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
A 13 anni accesi la mia prima canna. Era una sera d’estate in mezzo alla calda e umida campagna lombarda, io e Corrado coricati nell’erba a ridere e poi via in vespa a tutta velocità, in due, in piedi senza mani. Volevo fuggire, volevo anestetizzare, volevo dimenticare, volevo ridere perché da sobrio non ci riuscivo, era un bel casino.
A 44 anni accesi la mia ultima canna con un po’ di nausea; volevo vivere e dimenticare quel buco lungo 30 anni in cui paradossalmente avevo pure amato, conosciuto, apprezzato, imparato abbandonato e guadagnato, ma anche perso e bruciato il piacere di costruire qualcosa e goderne, sempre circondato da questa barriera, sempre un pochettino distante dalla realtà ma non troppo.
Ora però basta pensare al tempo buttato via, era il momento di vivere. E vissi.
Michele Stefanoni

NON C’È NIENTE DA RIDERE
Aveva studiato lui, era stato obbligato da sua madre, perché lei non voleva che suo figlio avesse difficoltà economiche, né che dovesse dipendere da qualcuno. Prende la scatola. Aveva finito il liceo col massimo dei voti, uno dei migliori studenti dell’istituto, un modello da seguire. Apre la scatola. Era il primo della famiglia ad aver fatto l’università, e l’aveva anche finita. Svuota la scatola. Nessun anno di ritardo, perfettamente nei tempi e ancora una volta col massimo dei voti. Carica lo scaffale. Nonostante lo studio aveva anche portato avanti una vita sociale, aveva amici che contavano, molte conoscenze che potevano fargli comodo nell’immediato futuro. Rompe la scatola. Però adesso, si ritrovava lì, nella corsia di un supermercato a caricare lo scaffale delle passate di pomodoro. Cade una bottiglia, si rompe, sugo ovunque. Lui fissa a terra e inizia a ridere. Arriva il direttore. “Non c’è niente da ridere, quella te la tratteniamo dalla busta paga”.
Andrea Zanchi

QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
E un accendino -che poi io neanche fumo- sul davanzale in Via dei Lillà snc.
Bianche, ch’io ricordo non esser pulite, tra cumuli di rancore.
M’avessi lasciato in mutande avrei ben inteso il colpo incassato, ma tre mutande fuori la porta, fuori di vista, fuori da tutto. Tre mutande che, vedendomi, m’han detto “sei fuori, sono stati tagliati tutti i ponti”.
Rita Bernardi

SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Disse: – Quando non urlerò più la mia rabbia capirai. –
Fu silenzio.
Stefania Fiorin

I CAVALLI NON SCOMMETTONO SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
No, non mi va di andare all’omodromo, vedere quei poveri uomini che corrono sulla pista trainando un calesse. Poi scommettere su di loro, con quei nomi assurdi “Mario Rossi” “Luigi Passavanti”. Pensa come potrei sentirmi io al loro posto; un Tizio qualunque scommettere su “Diablo”. Mai e poi mai. Meglio una passeggiata nei campi.
Patrizia Paesani

FACTOTUM
Che fatica! Faccio tutto io qui.
Ti sveglio al mattino.
Mentre fai colazione, ti porto il giornale.
Ti accompagno a correre nel parco.
Quando vai al lavoro, resto a casa ad aspettarti.
Vivo in attesa del tuo ritorno.
Quando stai per arrivare io lo sento.
Comincio ad agitarmi, non riesco a stare fermo.
Poi ti vedo e sono felice.
Ne è valsa la pena di aspettare.
Ti vengo incontro.
Capisco subito di che umore sei.
Se sei triste, cerco di farti sorridere.
Se sei allegro, giochiamo insieme.
Se sei arrabbiato, ti lascio perdere. Tanto poi sei tu a venirmi a cercare.
Mi racconti la tua giornata. Io non posso risponderti, ma ascolto tutto e partecipo alla conversazione a modo mio.
A cena mi preoccupo della tua salute e ti rubo gli alimenti più grassi e calorici.
Poi, quando ti addormenti, spengo la televisione con abile mossa.
Devo fare tutto io.
In cambio, tu pulisci i miei bisognini, mi riempi la ciotola due volte al giorno e mi fai qualche carezza.
E ti lamenti pure.
Che tipi strani gli uomini!
Lucia Cabella

SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
Sono un ex alcolista, ex fumatore, ex trombatore, ex giocatore d’ azzardo.
Sono pronto per andare in paradiso , ormai, ma so già che lì mi annoierò a morte.
Quasi quasi riprendo a bere, a fumare, a trombare, a giocare a carte e perdere tutto.
Claudio De Maria

E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
Una manciata di caratteri inutili stazionano stantii tra le pagine di una futile poesia.
Non sono serviti a scardinarle il cuore né le cosce.
Parole mosce, come il mio cervello nudo che nuota in birra da discount.
Coraggio, ci vuole coraggio. Strappare quel foglio squallido e liberare i versi.
Senza aspirare a rintanarsi tra scaffali colmi di cuochi da gastrite, dj farinosi o logorroici comici assassini. Rinunciare ad apparire uguali solo per conquistare un piccolo cantuccio di costa.
Esplodere, puri come carta. Bombe lunari in onore di chi esisterà per sempre, lontano dalla spazzatura quotidiana, dai rigurgiti mensili, dalla melena umana che sovrasta la tempesta con valuta pregiata buona per pulirsi il culo tra cent’anni. Meglio la solitudine di un cane dagli occhi azzurri accovacciato sotto una panchina su cui siede il demonio incravattato a festa.
Che nevichino mignotte sulla fantasia impolverata dai fantasmi dei replicanti e dalle loro solite storie.
Lasciamo che il tempo dimentichi ed esalti.
Hektor Arklys Farasi 

Un pensiero su “CAPITOLO III

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