MORSELLI E FOGAZZARO

di Alberto Buscaglia

Intervento al convegno “Guido Morselli il Genio Segreto: Scritture parallele“, a cura di Silvio Raffo – 28 febbraio 2010, Hotel Splendide Royal, Lugano

Nel mio lavoro mi è capitato in molte occasioni di affrontare autori e opere letterarie. Da quegli incontri sono nate sceneggiature per fiction e documentari, e naturalmente un rapporto molto intenso con la letteratura.
E’ quanto accaduto anche con Guido Morselli: nel 1983 l’idea di realizzare un film documentario (1) sulla sua avventura umana e letteraria, fu l’occasione per approfondire la lettura dei suoi straordinari romanzi e dei saggi pubblicati fino a quella data e il suo tormentato percorso umano.
Purtroppo nel 1983 le pagine del suo Diario non erano state ancora pubblicate (lo saranno nel 1988), e tutto ciò che allora era ancora inedito era anche molto difficilmente avvicinabile e consultabile.
Il
Diario è d’altronde una irrinunciabile miniera per accostarsi all’universo letterario di Guido Morselli, ricco com’è di citazioni e considerazioni critiche e filosofiche su molti autori classici e contemporanei, i quali furono la sua palestra di lettore onnivoro e il suo laboratorio di scrittore.
Mi soffermo sul
Diario perché è in questa ricchissima officina intellettuale che in data 30 gennaio 1945, e poi nei giorni seguenti, Morselli annota alcune interessanti considerazioni su Antonio Fogazzaro e Piccolo mondo antico, probabilmente sollecitate da letture di data recente, tanto è vero che nella prima di queste note scrive in apertura: “Per il saggio su Fogazzaro” (saggio di cui poi non s’è trovata traccia fra i manoscritti e le carte dell’archivio Morselli, come ha potuto verificare Valentina Fortichiari, curatrice del Diario).
Cosa poteva aver suscitato in Morselli l’interesse per lo scrittore vicentino?
Per progettare nientemeno che un saggio, la lettura di
Piccolo mondo antico, doveva aver particolarmente colpito Guido Morselli, soprattutto perché il suo Autore godeva (e gode tutt’ora) di un’oscillante collocazione nel canone letterario: era sì considerato un piccolo “classico” della letteratura fra Otto e Novecento, ma sovente, anche per una complessa serie di ragioni extraletterarie, veniva sistemato nel vaghezza dei cosiddetti “minori”, o degli “eccentrici”.
Intanto va sottolineato che in quello stesso periodo Morselli stava lavorando alla stesura del dialogo filosofico
Realismo e fantasia, iniziato durante il servizio militare e che pubblicherà, a sue spese, nel 1947; contemporaneamente lavorava alla sua prima importante prova narrativa, il romanzo Uomini e amori, anch’esso iniziato nel forzato esilio calabrese del dopo 8 settembre 1943. Da una parte, dunque, il saggista che aspira a rinnovare il “dialogo filosofico”; dall’altra l’inclinazione al romanzo, all’intreccio, ma sempre innestato in un necessario contesto speculativo. In questa tensione mai completamente risolta, ma che comunque, e per nostra fortuna di lettori, si concretizzerà tutta a favore del narratore, Guido, tornato dai drammatici avvenimenti bellici alla tranquillità familiare della villa di Varese, legge, o probabilmente rilegge, Piccolo mondo antico:

Per il saggio su Fogazzaro: vedere nella Bovary flaubertiana se vi siano, nel racconto dei fatti che precedono la fine di Emma, pagine così concitate e insieme così limpide e precise come quelle di Piccolo mondo antico dov’è descritta Luisa preparantesi all’incontro con la Maironi, la morte della piccina, la disperazione della madre. Ma non credo ce ne siano, e mi pare che in questo capitolo la modesta opera fogazzariana vinca il capolavoro. E persino per un tratto sembra che Fogazzaro dall’idillio si levi a una superiore sfera non indegna forse di definirsi tragica: per quella coincidenza della morte di Ombretta con la vendetta meditata dalla madre, coincidenza alla quale non puoi riconoscere soltanto il merito di un’ingegnosa svolta del racconto (…): ma che è trattata con tanto persuasivo accento da farsi sentire come naturale, e insieme fatale, conclusione di un processo di fatti l’uno all’altro connessi e dipendenti, e, psicologicamente, come inevitabile conseguenza di una duplice colpa, l’odio palese della Maironi per Luisa, l’odio segreto di costei per la nonna, scontata dall’innocente secondo il decreto di una volontà superiore, imperscrutabile, crudele forse ma giusta. (2).

Morselli si proponeva quindi di confrontare alcune pagine nodali di Piccolo mondo antico e di Madame Bovary: Già in questa essenziale, precisa elencazione delle “scene” interne al capitolo X di Piccolo mondo antico (quello intitolato “Esümaria, sciora Lüisa!“), si può notare come, sulla base della sua memoria di lettore, Guido abbia colto la grande efficacia drammatica delle pagine fogazzariane a tutto vantaggio di quelle, tematicamente affini, della “Bovary”.
Ovviamente qui non vogliamo azzardare irragionevoli paragoni di valore tra opere e Autori (e che Autori!), né, certamente, lo voleva Morselli. Se, però, con i testi alla mano, si segue il ragionamento di Morselli, volto unicamente alla ricerca dell’efficacia narrativa nelle pagine dei due romanzi, non c’è dubbio che una puntuale e parallela analisi di quei capitoli così cruciali per entrambe le opere, non può che convenire con il suo convincimento.
Intanto, nel romanzo di Fogazzaro un solo capitolo, il X, per complessive 18 “scene”, contiene tutto il dramma di Luisa: l’attesa dell’incontro con la marchesa Maironi, il fatale gioco della bimba con la barchetta di metallo donata dalla Pasotti, l’abboccamento con la marchesa sulla scalinata della Calcinera mentre infuria il temporale, la notizia della disgrazia da parte delle donne del paese, il ritorno precipitoso a casa, la crudele consapevolezza della morte della piccola Maria e il fermo rifiuto del conforto religioso.
Nella “Bovary” il dramma della fine di Emma, accompagnata minuziosamente, e con numerose digressioni anche temporali, nel suo desolante peregrinare per risolvere gli esiti amari della sua ribellione, poi nel racconto dell’avvelenamento e della lenta e atroce agonia, occupa una porzione notevole della Terza parte del romanzo: la parte finale del capitolo VI e gli interi lunghi capitoli VII e VIII, per un complesso di più di 35 “scene”.
Per raggiungere quella che Morselli definisce “una superiore sfera tragica”, Fogazzaro utilizzò con maestria la tecnica del montaggio alternato, imprimendo a quel cruciale capitolo un incalzante ritmo interno che oggi, con un termine cinematografico, definiremmo di “suspance”: infatti, con grande intuizione narrativa, scelse di non descrivere la scena della caduta in acqua e dell’annegamento della piccola Maria, lasciando così il lettore sospeso in un’inquietudine che solo il proseguimento della lettura poteva sciogliere. Scelta così inconsapevolmente “cinematografica”, che saggiamente fu fatta propria anche dagli autori della sceneggiatura dell’eccellente film che Mario Soldati girò nel 1941.
E’ chiaro che nelle scelte stilistiche dei due autori, ambedue validissime, giocavano problematiche che concernevano la questione del romanzo e le teorie che in quello scorcio del secolo diciannovesimo si andavano affermando: se in Francia, in consonanza con l’evoluzione sociale e politica di quel Paese, il romanzo si era imposto come veicolo di storia contemporanea e di costume sociale con la teorizzazione di un nuovo realismo e di una “religione del vero” (Flaubert, ma anche Proust), in Italia, da poco proclamata Nazione e priva di una consistente tradizione legata alla forma romanzo, la generazione di Fogazzaro doveva confrontarsi ancora e solo con Manzoni, ma soprattutto con i “manzoniani”. Non a caso il giovane Fogazzaro, nel decisivo momento in cui cercava di affermare la propria vocazione letteraria, fraternizzava con gli artisti della Scapigliatura operanti a Milano, il solo movimento d’avanguardia, in quel frangente storico, che cercava di superare i principi dettati dall’insopportabile accademia dei “manzoniani”.
Il Fogazzaro maturo trovò poi un’inquieta mediazione fra le tensioni avanguardistiche giovanili e il riconoscimento in una tradizione, oscillando con originalità fra realismo, tensione morale e religiosa, misticismo, psicologia e misteri dell’occulto, in sintonia con i più dinamici movimenti artistici presenti nell’Europa di quegli anni, dal decadentismo di D’Annunzio, o di un Oscar Wilde, al tardo romanticismo manieristico dei preraffaelliti, all’attenzione alle nuove tendenze positivistiche degli autori mitteleuropei, ponendosi in sospetto presso la cultura e l’ideologia dominante, e soprattutto presso le gerarchie cattoliche.
Probabilmente fu anche questo “strappo”di Fogazzaro con la tradizione ad incuriosire Morselli, e la lettura delle pagine citate di
Piccolo mondo antico contribuirono, insieme a quelle di molti altri autori, ad affinare e a costruire la “sua” futura visione del romanzo, che avrebbe guardato più ai percorsi letterari d’oltralpe che a quelli di casa nostra; scelta, anche nel caso suo, che poi pagò con l’incomprensione culturale e ideologica della società letteraria italiana che contava.

La precisione della topografia e della meteorologia fogazzariana è parsa – come la meticolosità dei suoi elenchi botanici – una bizzarria, un difetto, uno squilibrio dell’elemento realistico invadente a tratti lo stile così anti-veristico dello scrittore. Ma non ci si è accorti del valore esenziale che hanno talvolta, almeno nell’opera più felice, quei riferimenti. Funzione non di zeppa, ma per se stessi, poetica. Nel Piccolo mondo antico la menzione dei luoghi ha efficacia di renderli vivi nella stessa vita degli uomini: il paesaggio si fa personaggio. Vedere a es. Luisa che impaziente nell’attesa della Maironi interroga il cielo le acque i monti: “…fra il monte Bisgnago e il monte caprino, sopra la leggera insenatura che chiamano la Zocca d’i Mont, era fumato su dalla Vall’Intelvi e si affacciava fermo un nuvolone azzurrognolo, sinistro come un sopracciglio aggrottato sopra un occhio cieco. Pareva aver veduto… (3).

Questa intuizione del paesaggio che in Fogazzaro si fa speculare della vita interiore dei personaggi, e non elemento meramente naturalistico o descrittivo, è certamente un tratto comune alla prosa del Morselli narratore, ma anche del saggista:

Ciò che noi chiamiamo il paesaggio, come elemento estetico non è interamente creato da noi, io direi; e ogni tratto di paese ha in sé il suo “stato d’animo”, ha un’indole e sentimenti propri (4).

L’influsso del paesaggio sui personaggi, così acutamente percepito nelle pagine di Piccolo mondo antico, ritorna con coerente puntualità nella narrativa di Morselli, basti pensare alla fondamentale complementarità tra personaggi e descrizione della natura e del paesaggio che, in funzione specchiante, si ritroverà nelle pagine dei suoi romanzi: dalla iniziale rappresentazione “meteorologica” della Villa Reale di Monza alle ombrose montagne svizzere in Divertimento 1889, che tingono di tristi presagi il destino di re Umberto I; o in quelle della bufera di neve su Filadelfia nel capitolo americano de Il comunista; o lo squallido paesaggio senz’anima e senza storia di Zagarolo, l’estrema residenza pontificia in Roma senza Papa, per non parlare della paesaggistica desolazione, ma anche del definitivo e paradossale incanto di un mondo senza più presenza umana in Dissipatio H. G.

Per concludere, vorrei citare due singolari brani dei nostri Autori, pertinenti almeno per l’oggetto rappresentato: il primo è tratto dall’inizio di Malombra, il romanzo d’esordio di Fogazzaro;

Uno dopo l’altro, gli sportelli dei vagoni sono chiusi con impeto; forse, pensa un viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, ormai senza rimedio, porterà via lui e i suoi compagni nelle tenebre. La locomotiva fischia, colpi violenti scoppiano di vagone in vagone sino all’ultimo: il convoglio va lentamente sotto l’ampia tettoia, esce dalla luce dei fanali nell’ombra della notte, dai confusi rumori della grande città nel silenzio delle campagne addormentate: si svolge sbuffando, mostruoso serpente, tra il leberinto delle rotaie, sinché, trovata la via, precipita per quella ed urla, tutto battiti dal capo alla coda, tutto un tumulto di polsi viventi… (5).

Il secondo passaggio viene dal romanzo di Morselli Divertimento 1889, deliziosa e insieme amara “divagazione” sulla fine di un’epoca:

Anche per la macchina l’abbeverata: un manicone di tela immerso nella caldaia, da un serbatoio l’acqua di ghiacciaio scendeva a calmare la sete del bestione surriscaldato. Che seguitava a respirare forte, con un ansimo alternativo che dava il senso della fatica, non della potenza soltanto. Le grosse aste d’acciaio, le bielle, sudavano, letteralmente: dfumide di vapore, di olio friggente (…) Su una placca di bronzo fissata alla caldaia, sil leggeva il nome “Sankt Gothard”, e una specie di pedigree: “Winterthur 1866, Sprüngli und Weber Ingg., Schweizerische Maschinenfabrik”. Dunque si registrava la loro data di nascita e l’ascendenza. Straordinario. (6).

In ambedue i passi la descrizione della “macchina” si fa antropomorfica e metaletteraria, e diviene, alla pari del paesaggio, elemento della psicologia dei personaggi e del loro “percorso” all’interno del romanzo, per poi insinuarsi nella coscienza del lettore come il medium di un destino già scritto. L’inizialmente anonimo “viaggiatore fantastico” di Fogazzaro è soprattutto il suo lettore, che in quel viaggio si riconoscerà e si abbandonerà con tutti i suoi sensi sino alla parola “fine”.
Allo stesso modo, giocando sull’hegeliano “ventaglio dei possibili” con sottile ironia, ma anche con autentica
pietas, Morselli, identifica in quello strano, ansimante animale meccanico il simbolo di un’epoca che s’approssima, insinuando nel regale protagonista della novella (re Umberto I) la malinconica coscienza del prossimo declino suo e dei suoi pari, addirittura prefigurando serenamente la sua drammatica fine:

Siamo tutti giubilati, pensò – Fra 10 anni, o fra 50, il nostro posto sarà nei musei. Insieme cogli anarchici che tirano a farci la pelle, mentre la gente di buon senso si accontenta di compatirci, o di metterci in caricatura, in attesa che ci decidiamo a finire in soffitta. Io qui sono un dimissionario, ecco perché le macchine cominciano a interessarmi.(7).

Note
(1) Alla ricerca di Guido Morselli, sceneggiatura e regia di Alberto Buscaglia, commento di Luciano Erba, fotografia Adone Nardi e Rodolfo Schianni, montaggio Antonio Utzeri, voci Paolo Bessegato, Maria Brivio, Anna Maria Lisi, RAI 3 – Regione Lombardia, durata 55 min., 1983
(2) Guido Morselli,
Diario, 30 gennaio 1945, a cura di Valentina Fortichiari, Adelphi Edizioni, 1988, pagg. 86-87,
(3) G. Morselli,
Diario, 30 gennaio 1945, Cit. pagg. 87-88,
(4) G. Morselli,
Realismo e fantasia, Nuova Editrice Magenta, 2009
(5) Antonio Fogazzaro,
Malombra, ediz. a cura di Piero Nardi, Mondadori, 1941, pag. 9
(6) G. Morselli,
Divertimento 1889, Adelphi Edizioni, 1975, pag.79
(7) G. Morselli,
Divertimento 1889, cit., pag. 81