CAPITOLO I

CAPITOLO I

SCRIVO POESIE SOLO PER PORTARMI A LETTO LE RAGAZZE
Ero con Erika. Dopo fatto sesso riposavamo nudi sul letto. Mi dava la schiena. Feci scorrere lo sguardo su quel suo culo da favola, sodo e generoso, che si allargava mostrandosi nel suo splendore dopo la vita sottile. Sembrava una modella in posa, pronta per essere ritratta da un maestro. Ammaliato da tanta bellezza allungai un braccio per afferrare la birra sul comodino. Prima di arrivarci le mie dita incontrarono un oggettino cilindrico che non riconobbi. Lo portai davanti gli occhi, era il pennarello rosso che usavo per correggere. Mi venne così, improvvisa, la voglia di far scivolare la punta in feltro su quella pelle morbida. Era come se lo chiedesse lei stessa. Tolsi il cappuccio stringendolo tra i denti. Sporgendomi scrissi un verso d’amore sulla scapola e uno di sesso sulla natica. Quello sulla natica era più lungo. Su quel culo avrei scritto un romanzo. Si tenne quei versi tutto il giorno, mostrandole orgogliosa alle amiche. Pessima mossa. Non passò molto che anche loro vollero i miei componimenti. Iniziai a portarmi a letto le donne per scrivere poesie.
Penna Rossa

L’UBRIACONE
Si trascinava nella bettola più vicina, e ce n’era sempre una ”più vicina” ovunque lui si trovasse, aperta ad ogni ora del giorno e della notte. Ordinava da bere e continuava a mandar giù whisky fino a stordirsi. Iniziava a raccontare le sue storie ad un barista annoiato, sempre le stesse, ma ogni volta ai suoi ricordi dava nomi e finali diversi. La voce andava abbassandosi, le parole incespicavano e compivano torsioni sempre più improbabili per mantenersi in equilibrio su frasi biascicate e precarie, rese scivolose dall’alcol. E quando arrivava la sbronza, e crollava, era la penna ad infilarglisi tra le dita raccogliendo, sul block-notes aperto accanto al bicchiere vuoto, quel che lui aveva sparso disordinatamente tra tutte le sue vite.
Romano Presta

QUANDO ERAVAMO GIOVANI
Non avevamo bisogno di starcene davanti a un cantiere a dare consigli.
Maurizio D. Capuano

CONFESSIONE DI UNA CODARDA
Sentiva di aver fatto la cosa sbagliata,
l’intera notte non aveva dormito.
Non aveva voluto vederla morire,
Non le era stata vicina nel momento
in cui forse i suoi occhi la cercavano,
ci avrebbe letto troppo dolore e
avrebbe capito.
Sonia Veronesi

DONNE
Le sopraciglia ben disegnate, il contorno labbra perfetto, donne! E non si bastano! Gli anni riflettono nei loro specchi, raccontano il passato intorno agli occhi, ricami di vita vissuta dal colore di campagna o dal grigiore della città. Si guardano cercando la risposta alla fatidica domanda, che importanza ha chi sia la più bella? Tra i palmi delle mani il profumo di biscotti dei neonati, che suono quelle ciglia che si abbassano dopo la poppata, la Primavera di Vivaldi! Imprecano in silenzio la mattina nel traffico contro chissà chi per i minuti di ritardo prima dell’ufficio, quelli persi a passare il rossetto tre volte nello specchietto retrovisore! Ah, donne! Al risveglio hanno la pelle che profuma di sonno, la spallina della camicia da notte abbassata, i capelli arruffati, le labbra schiuse e sono sensuali da impazzire. Hanno la notte di sesso impigliata tra le ciglia. Le donne in amore non hanno età. Le donne che amano, sanno ubriacare! Basta un bicchiere di cielo. Il primo bicchiere, come sempre, è il migliore!
Sharon Lake

NOTTE IMBECILLE
Giorno arguto
Giovanna Polini

SHAKESPEARE NON L’HA MAI FATTO
Scrivere poesie per portarsi a letto le ragazze.
Wilhelmina Vagante

CENA A SBAFO
Eccolo, davanti al suo banchetto. Stasera in solitudine, non ci sono altri commensali. Non importa. Quello che importa è essere lì, finalmente. Il profumo del cibo gli riempie le narici. Con la mente inizia ad assaporare quello che mangerà, è questa, senza dubbio, la parte migliore. Un sorriso soddisfatto si dipinge sul suo volto. L’impiattamento non è dei migliori. Ma il pesce sembra fresco. Un filo d’olio ad aromatizzarlo con delicatezza. Niente posate. Ma, tenendo conto della moda gastronomica del momento, sushi&bacchette, non è stupito e, dopotutto, ormai è abituato. Porta alla bocca il primo boccone. Si scioglie in bocca. L’olio è extravergine d’oliva. Favoloso. Manca forse una punta di sale. Ma nel complesso è soddisfatto. Peccato che la porzione fosse esigua, è giá finito.
Alza lo sguardo. I suoi occhi scorrono avidi per la piazza. Deve assolutamente trovare un altro bidone che contenga qualche succulento avanzo. Magari caldo. La notte è fredda, soprattutto su la si trascorre su una panchina. Si stringe nel cappotto rattoppato e comincia a cercare, di nuovo.
Chiara Rigamonti

IL CRIMINE PAGA SEMPRE?
Lui era molto più bravo di me, lo era sempre stato, con i suoi occhi pieni di affetto, la sua generosità e il suo esserci sempre nei momenti di bisogno. Questo era il mio grande amico Giuseppe, conoscitore di persone, filantropo, almeno un migliaio di volte più bravo di me in tutto. Io non ero nemmeno mai riuscito ad avvicinarmi al suo livello anche perché non serviva: c’era lui. Quando solo pensavo di avere uno slancio di generosità verso qualcuno, lui pigliava il testimone al volo senza essere interpellato; e tutti a ripagarlo con sguardi pieni di ammirazione! Però avevo imparato bene, lo avevo osservato per una vita, conoscevo tutti i meccanismi usati durante le sue note opere di filantropia. Sinceramente non fu difficile svuotargli addosso tutto il caricatore di una 38 (con matricola abrasa ovviamente) in una calda sera di Agosto. Al funerale guardavo dietro gli occhiali scuri i visi smarriti delle persone e dentro di me sapevo che in breve tempo avrei preso il suo posto nei loro cuori. L’allievo che supera il maestro. Addio Giuseppe.
Michele Stefanoni

IL PRIMO BICCHIERE, COME SEMPRE, È IL MIGLIORE
Eccolo, sobrio, funzionale, resistente e bello… No, guarda quello! E quelli verdi? O meglio quelli a calice, magari quelli un po’ naif o quelli in colori pastello.
Non vanno in lavastoviglie e sono troppo delicati e poi…..
E poi sei a ridosso delle casse dell’Ikea e, come sempre, il primo bicchiere era il migliore.
Marcello Perugia

TACCUINO DI UN VECCHIO PORCO
Questa proprio non me l’aspettavo. Un premio ” Fogazzaro” che quest’anno prende come spunto
Bukowski e i suoi titoli cosi “scurrili” per menti salaci, grasse. A me il realismo sporco non è mai andato giù. Con questa scusa tanti hanno approfittato per affogare nella scurrilità e per scadere in una poesia più concisa, senza quasi avverbi e un minimo di aggettivi. Scherzo, l’avete capito no?
Però è divertente pensare che questo “Taccuino” Leopardi l’avrebbe chiamato “Epistolario”.
Per non dire che Pavese al posto di “Vecchio Porco” avrebbe citato ” Il mestiere di Vivere”.
Passando per Pascoli che irretito da un realismo scarno di aggettivi avrebbe circondato la suggestione delle parole da un silenzio pacatamente musicale. Caro il mio Fogazzaro ora senti cosa vado a pensare. Non credo forse io che “Il Taccuino di un vecchio porco” in quel di Como ed in quel Piccolo Mondo Antico fosse già stato letto dai personaggi della Malombra e poi sepolto nei segreti del lago?
Paolo Amato

SEDUTA SUL BORDO DEL LETTO MI FINISCO UNA BIRRA NEL BUIO
L’ho saputo oggi… sbam!!! Lei ha un tumore… che colpo, che botta… non sai neanche come reagire. Ti viene da piangere, vorresti spaccare tutto, sei arrabbiata con il mondo.
Non dico niente a nessuno, in questi casi non si sa cosa rispondere e le risposte sono solo di circostanza e non mi servono. Ho bisogno di un abbraccio, ho bisogno di amore…
Devo fare un sacco di cose, non c’è più tempo o forse si… sento che il mio corpo mi ha tradito o punito, non so.
Seduta sul bordo del letto mi finisco una birra nel buio, mentre le lacrime scendono calde e inesorabili sul mio viso mi chiedo perché? Perché proprio io?
Daniela Zampolli

LE RAGAZZE CHE SEGUIVAMO
Hank e io sorseggiavamo due bionde, riparati sotto la tettoia della stazione deserta. La pioggia picchiava sull’asfalto, sfracellandosi in pozze fangose, mentre la luna dormiva accoccolata dietro i nuvoloni rigonfi, lasciando lo sporco lavoro ai lampioni.
Parlavamo di letteratura, boxe e donne, svuotando cuore e cervello, oltreché bottiglie.
Poi, due ragazze ci sfilarono davanti come modelle. Gonne cortissime, tacchi e sguardi ipnotici. Assurdo che ammiccassero a porci come noi. Lui aveva un debole per le gambe, io per i piedi.
Hank seccò la birra e cominciò a inseguirle. Io feci lo stesso.
Di tanto in tanto le due si giravano verso di noi e sorridevano, senza mai fermarsi.
Arrivammo in un vicolo cieco. Alte mura di mattoni, neon spenti, case vuote.
Una trappola?
Dalle labbra delle ragazze fuoriuscivano canini affilatissimi, i loro occhi rossi come lanterne cinesi. Vampire. Non avevano voglia di noi, ma fame. E noi due eravamo l’unico fast -food disponibile.
Sorrisero.
Sentii le gambe vacillare e l’aria mancarmi.
Mi voltai verso Hank, ma lui era tranquillo.
Anzi, fiero e compiaciuto.
“Non aver paura dell’immortalità, Sam” mi disse.
Samuele Fabbrizzi

CE L’ÁNNO TUTTI CON ME
I professori d’italiano.
Michele Lopopolo

L’AMORE E’ UN GATTO VENUTO DALL’INFERNO
Nero. Più della notte, più dell’inferno da cui è scampato. La piena si è portata via la stalla dove era nato, la mamma e i fratellini. Solo lui è rimasto, così piccolo che squittiva come un topo sotto al cumulo di immondizia dove lo abbiamo ritrovato.
Biberon cinque volte al giorno, poi omogeneizzato e paté per gatti neonati.
E il rigonfiamento del copriletto che svelava il suo rifugio segreto, la poltrona piena di ciuffi neri che neanche l’aspirapolvere, il davanzale su cui saliva a dormire al sole. Dieci anni felici.
Ma quando chi ha vissuto con te per tanto tempo, passando le notti a fare le fusa, a tenerti al caldo in modo affettuoso e discreto, ti lascia all’improvviso?
Trovi il suo corpicino già rigido sotto l’alloro, ti senti male ogni volta che guardi il letto, mai stato così in ordine, e pensi di poter sopportare che ti dicano: “Era solo un gatto”?
L’inferno che lo ha risparmiato ora è piombato su di te.
Laura Montagna

UNA NOTTE NIENTE MALE
Il cielo, a un certo, punto, finiva.
E non nell’orizzonte, o nel bacio della terra. Nemmeno nel mare sotto, giacché blu come la notte, e da lassù immenso, le stelle riflesse, pareva anch’esso cielo.
Thomas la vide, la fine, non con gli occhi ma con un’idea: il cielo finiva dove non potevi più volare. E Il suo spitfire, le ali ferite dagli stuka nazisti, si faceva fenice e perdeva la lotta contro la gravità. ??
Che idea sciocca, pensava ora, era il volo: lanciare oggetti di metallo in aria e sperare che galleggino sulle nuvole, come barche fra le onde. Sciocco forse quanto il cercare di riprendere quota, forzando verso sé la cloche, una leva con perno sul nulla. Quasi come sollevarsi tirandosi per i piedi. Impossibile. ??
Così, lasciò i comandi, sereno: aveva fatto il suo dovere, vissuto una buona vita. E il cielo ora finiva. ?
Finiva, ma solo nel suo cuore. Perché sotto di lui, il mare si faceva cielo, un altro, diverso, nel riflesso sull’acqua. ?
E vedendolo pensò, sì, quella era proprio una notte niente male in cui annegare.
Matteo Pisaneschi

QUELLO CHE IMPORTA È GRATTARMI SOTTO LE ASCELLE
Io sono ciò che scrivo. E scrivo in down. È un duro lavoro, mi costringe a ciucche e strisce di coca: mi mandano in up per poi scendere nella più profonda delle malinconie, nella paura, nello sconforto, nell’indecisione, nella paranoia. Allora scrivo e sono diverso da quando sto in compagnia o faccio quello che altri chiamano vita. L’up è una rottura di coglioni e non mi piace: esagero e combino disastri. Invece nel down ho dentro una terra desolata, un’inquietudine alla Pessoa, uno spleen che tutto riluce. Certo, dopo scritto resto per ore a fissare la bianca parete dietro al computer o mi seppellisco sotto le coperte, gli occhi chiusi, in posizione fetale. Certo, down dopo down, se mi specchio negli occhi di chi mi guarda faccio veramente schifo. Ma non me ne frega un cazzo, leggetemi, io sono le parole, il resto è pura invenzione.
Graziano Gattone

IL SOLE BACIA I BELLI
Oggi è una splendida giornata di sole, Maurizio è in vacanza e scenderà sulla spiaggia, dove resterà sdraiato per ore ad abbronzare il suo corpo, pensando che la notte incontrerà la donna della sua vita.
Al tramonto rientrerà in albergo, cenerà leggero – perché Maurizio tiene alla linea – e poi uscirà. Rimarrà seduto tutta la sera al tavolino di un bar del lungomare e, sorseggiando un drink analcolico, osserverà le donne che passeggiano, sperando di incrociare lo sguardo di una di loro. Come sempre nessuna lo noterà e lui tornerà in camera, leggermente deluso e disorientato. Si collegherà a internet e consulterà le previsioni del tempo.
Si addormenterà felice, perché domani sarà una splendida giornata di sole, Maurizio è in vacanza e scenderà sulla spiaggia, dove resterà sdraiato per ore ad abbronzare il suo corpo, illudendosi di incontrare, la notte, la donna della sua vita.
Marcello Mora

SVASTICA
Dopo aver passato la notte, una notte niente male, seduto sul bordo del letto mi finisco la birra e mi reco al post office con il mio taccuino, fatto con la pelle di un vecchio porco. Chiedo dove posso ordinare un caneamore, mi rispondono “viene dall’inferno, a sud di nessun nord” , il posto non mi interessa, a me quello che importa è potermi grattare sotto le ascelle mentre il sole bacia i belli che, per invidia, ce l’hanno tutti con me. Volete sapere perché? Invidia, perché le ragazze mi seguivano nonostante la mia svastica tatuata in fronte e a loro ero simpatico.
Ora vado, l’Ade mi aspetta.
Floriana Plebani

A SUD DI NESSUN NORD
Ninetta entrò dall’ingresso sud del centro commerciale assieme alla mamma alle ore quattordici e ventotto di giovedì grasso dell’anno di grazia duemilaquattordici.
Ninetta si perse tra le ore quindici e tredici e le ore quindici e diciotto. Perdersi è un’attività graduale: non c’è quell’istante preciso in cui si passa dalla consapevolezza di sapere dove ci si trova alla consapevolezza di essere soli, abbandonati e disarmati. L’angoscia monta poco per volta. Inizia sottotraccia e si avvinghia alla corteccia cerebrale fino a stritolarla.
“Stritolarla” in senso metaforico, perché anche lo stritolare ha più sfumature, come capì presto Ninetta.
Quando ci si perde il panico prende il sopravvento e si rischia di comportarsi in modo avventato. Per esempio Ninetta era così spaventata che si fidò ciecamente di un signore sconosciuto e paffuto dall’aria pacioccona. Uscirono dall’ingresso nord del centro commerciale per cercare la mamma.
Ninetta non rivide mai più la mamma. Il signore pacioccone la violentò e la stritolò. Fu ritrovata morta in un fosso.
Luigi Siviero

PANINO AL PROSCIUTTO
-Venticinque.
-Eccomi. Due etti di autostima per cortesia.
-Mi è rimasta solo la punta. Se la prende tutta, gliela faccio a duemila euro al chilo.
-Non mi piace tanto il colore. Che dice, è buona lo stesso?
-In confidenza, signora, buona buona non è. Meglio se passa di mattina che ne inizio una nuova.
-E chi può? Lavoro tutto il giorno. E stasera ne avevo proprio voglia, mi sento molto giù.
-Problemi?
-Il capo mi tratta malissimo, ieri mi sono messa a piangere davanti a tutto l’ufficio.
-Signora mia, se viene lunedì sera, gliene conservo due etti di quella appena iniziata. La spalmi nel pane caldo e si sentirà come nuova in ufficio.
-Lei è tanto gentile.
-Per una bella signora come lei è il minimo. Anzi, se viene in orario di chiusura, le faccio assaggiare anche una fettina di fascino erotico.
-E’ un prodotto nuovo?
-Nuovissimo, lo mangi nel pane caldo e nessuna donna in ufficio le terrà testa.
-Anche quella smorfiosa della segretaria?
-Si fidi di me. Avranno occhi solo per lei.
-Se è vero, saprò come ringraziarla.
Guido Anselmi

BIRRA FAGIOLI, CRACKERS E SIGARETTE
La macchina gialla, distributrice di “gratta e vinci” del supermercato, mi appare come un forziere pieno di monete d’oro. Fisso con attenzione i disegni che appaiono sotto la vernice d’argento. Bastano tre simboli uguali e la mia sorte finalmente cambierà. Getto il primo cartoncino nel piccolo bidone pieno di cartacce ai piedi del tavolo ingombro di trucioli brillanti. Un altro, solo un altro. La banconota entra nella fessura della macchina come attratta da una forza magnetica. Afferro con mani tremanti il biglietto e passo, lentamente, la moneta sui circoletti colorati. Il secondo cartoncino raggiunge il primo.
Appoggio sul rullo della cassa la spesa per la settimana. Poca roba, ma non rinuncio a bere .
Controllo il display. quattro euro e trenta. Mi restano i soldi per le sigarette.
Prendo dal portafoglio l’ultima banconota da dieci che mi è restata.
Bella.
Rossa.
Ricca.
Fortunata.
La cassiera sbuffa. Che grande idea ho avuto! Fingere di aver dimenticato il portafoglio.
E adesso a noi, macchina gialla!
Lodovico Ferrari

LE POESIE DELL’ULTIMA NOTTE DELLA TERRA
Le longitudini e le latitudini si fusero, abbracciandosi.
I quattro punti cardinali si dissolsero.
Una pioggia battente di lacrime scese sulle terre del pianeta.
Gli oceani e i mari la bevvero.
Una preghiera si elevò al cielo.
In una sola lingua.
Con una sola voce.
L’amore.
Maria Rosaria Spirito

STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
Per imparare l’arte di amare, chiedo umilmente altre vite.
L’anima sopravvive alla morte; ma riuscirà essa, mia anima, a concludere il lavoro incompiuto della vecchia vita?
Esiste un Dio che permette l’incompleto? Che crea esseri con tanta cura, senza concedergli nulla fino in fondo, senza dargli infinite possibilità di completezza?
Un Dio stanco, assuefatto.
Dovremmo temere la fine del mondo, allora, darci da fare.
Se, invece, Dio non esistesse? Le anime sarebbero autonome.
Paura.
Io, anima sperduta sarei.
Come pecorella, torno al gregge.
E DIO ESISTE.
Andrò in chiesa, darò il mio contributo alla ior ,
mi inginocchierò davanti alle statue.
Racconterò i peccati al Don, anche se a lui piace di più sentire il tintinnio dei soldi.
E per il vescovo, ucciderò l’agnello migliore.
Farò il tifo per il papa, che da oggi anch’io chiamerò santo padre, pure se santo ancora non è.
A ottant’anni mi farò suora. Sono belle grassocce loro, vivono bene.
A quell’età mi basteranno una stanza con bagno, un giardino e tanti libri; se riuscissi ad avere un pc sarebbe il massimo.
Ringraziando Dio.
Vittoria Alices

NIENTE CANZONI D’AMORE
Un biglietto da visita di un buontempone recava questa scritta sul retro:
sono un tipo silenzioso
se vuoi venire a letto con me
tieniti il biglietto
se no restituiscimelo
perché sono a corto di biglietti
Claudio De Maria

TUTTO IL GIORNO ALLE CORSE DEI CAVALLI E TUTTA LA NOTTE ALLA MACCHINA DA SCRIVERE
Di giorno scommetto sui cavalli. E’ una passione, ce l’ho nel sangue. Quanti soldi ci ho perso.
E la notte mi attacco alla bottiglia e al computer.
Scrivo e la rabbia si scioglie.
L’energia diventa vita che pulsa nelle parole accese. Scrivo e la malinconia si scioglie.
Diventa calore, passione, ricordo.
E in questo febbrile lavoro trovo pace e ristoro.
Delle parole mi nutro. Con le parole gioco.
Cerco ritmo, armonia. Inseguo melodie.
Patrizia Benetti

SANTO CIELO, PERCHE’ PORTI LA CRAVATTA?
Mark guardò il cielo. Era il lunedì che precedeva la Pasqua.
Sedeva alla sua scrivania di laminato bianco per l’insistenza dei genitori che lo vollero laureato e dirigente.
Mark guardava il cielo e cercava ispirazione, parole per il suo libro. Aveva un PC davanti e nella testa un sogno: diventare scrittore.
Ogni giorno sbrigava il lavoro rapidamente, poi si dedicava al romanzo. Quel giorno in cielo vide una nuvola che sembrava un faccione, con la bocca, sembrava parlasse.
Mark aveva un responsabile che quel giorno lo fece chiamare. “Vogliono promuoverti” disse “Vogliono trasferirti a Portland, nella sede principale. Cosa vuoi fare?”
Mark lo fissò e rispose “Lo scrittore”. Fuori la finestra vide il faccione che sembrò dirgli “Bravo”.
Il responsabile scosse la testa “Hai studiato, lavorato sodo. Ancora questa maledetta fissazione?” gli domandò.
“Sì, ho deciso” rispose Mark.
“Santo cielo, scrittore, perché porti la cravatta?” sbraitò l’altro.
Mark lo scrutò, poi rispose “Perché se la rovesci, diventa un cappio dove resterei appeso. Voglio essere libero e non portarla più”.
Andò via, guardò il cielo. Il faccione gli regalò un sorriso.
Francesco Marcone

URLA DAL BALCONE URLA DAL BALCONE
Urliamo tutti. Affacciati ai balconi, dalle portiere aperte delle macchine. Intanto che ci inzuppiamo di acqua alle fontane. Fa caldissimo anche se è notte. E il calore che abbiamo dentro si può abbassare solo in un modo: urlando.
In tanti fanno la voce grossa intonando cori brevi e cadenzati, in tanti strombazzano incuranti dell’ora. Le macchine sono tutte ferme in coda, ma nessuno si lamenta, almeno a me sembra così.
Non ho quasi più voce a forza di urlare a squarciagola. Sto attaccata a mio fratello che è fasciato nella bandiera tricolore. Ho voluto scendere a tutti i costi con lui, sono una ragazzetta di tredici anni e non mi piace nemmeno il calcio, ma il sapore della vittoria ha invaso l’aria estiva e i miei non hanno saputo dirmi di no. Con noi c’è pure un suo compagno di scuola, Carlo, che mi piace da morire. L’eccitazione è diventata incontenibile, ci abbracciamo tutti, mi fanno volare in alto e poi casco tra le loro braccia.
Siamo nella mitica estate del 1982, siamo nella Storia. Siamo i Campioni del mondo.
Cristina Cornelio

PULP. UNA STORIA DEL XX SECOLO
Vorrei non averlo fatto. Il coltello è ancora lì sulla tavola, sporco.
Ho appena sgozzato quel porco con un colpo secco. Un taglio netto alla gola. Dovró disinfettare tutto con l’aiuto di Adrian, bisogna che non resti alcuna traccia altrimenti mia moglie si insospettirá.
Non mi sono fermato un attimo: con foga, che non m’appartiene, ho spezzettato le gambe poi la testa, le budella per ultimo. Ormai, povero me, ho sangue dappertutto. Una doccia non mi laverà i peccati ma almeno profumerò di nuovo.
Non credevo di riuscirci ma era un lavoro sporco e qualcuno doveva pur farlo.
Domani potrò spostare il porco al mattatoio e potrò godermi il mio meritato panino al prosciutto.
Vincenzo Attolico

SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI SOTTO UN SOLE DI SIGARETTE E CETRIOLI
Sì, è proprio la mia Sandy che si sposa.
Ora ti dico come l’ho conosciuta, nell’estate del ’30.
Zero lavoro, se non qualche facchinaggio qua e là. Era la grande depressione e mi ero adeguato: vita on the road, pancia vuota e testa nelle nuvole.
Camminando sotto un sole cocente, fumavo le mie ultime sigarette, quando la incontrai: sola, disperata, magrissima. Nessuno voleva vedere l’ennesima bambina abbandonata lungo la strada.
Io non so perché mi fermai. Mi sedetti per terra vicino a lei. “Che fame” e tirai fuori dal fagotto tutto ciò che avevo: un barattolo di cetrioli. Li dividemmo, mentre io continuavo a fumare e lei si puliva il moccio sulle braccine scarne.
Era la grande depressione, ma da quel giorno cominciai a fare progetti. Ho sofferto ogni pena, ogni fatica, ma ce l’ho fatta.
Adesso non fumo più, ma guarda là il tavolo degli antipasti: pieno di cetrioli. E vedi la mia ragazza, la sposa più bella del mondo? Prima di darne uno a suo marito, mi ha fatto l’occhiolino.
Consuelo Lanzara

MUSICA PER ORGANI CALDI
Cuore, cervello
Questi due organi devi usare per scrivere la musica
Il cervello per avere l’idea giusta
Il cuore per renderla unica.
Patrizia Paesani

A.A.A. COMPAGNO DI SBRONZE CERCASI
Giovane diplomato disoccupato con esperienza quinquennale di sbronze da week end cerca compagno di bevute. Si garantisce ottima tenuta e sbronza allegra e ridanciana. Requisiti richiesti: portafoglio e budget adeguati per l’acquisto di liquori di qualità accettabile.
Marina Luzi

TUTTI GLI ANNI BUTTATI VIA
Il gallo Cedrone aveva tre sorelle: Chichì, Cocò e Indovinaunpò. Chichì voleva studiare, non le importava dell’amore. Divenne un famoso avvocato e girò il mondo su un Mercedes truccato. Cocò partì per l’Australia con una valigia di cartone, si sposò uno struzzo conosciuto nei campi di cotone. Indovinaunpò non sapeva che fare, girava per l’aia, tutto il giorno a cazzeggiare. Aspettava che qualcuno le dicesse qualcosa, aspettava che dalla cacca crescesse una rosa. A Cedrone dispiaceva per quella sorella, era sempre indecisa e anche se era la più bella, buttava via i suoi anni rincorrendo una chimera, guardava l’orizzonte e aspettava la sera. Passarono gli anni e Chichì tornò, non sembrava felice e si impiccò. Lo struzzo cognato lasciò la sorella, Cocò disperata affogò nella nutella. Ai funerali c’era tutto il paese, anche pollo Martino, che non aveva pretese. Anche lui aspettava la sera, nel buio dell’aia pensava a chi era. Si guardarono negli occhi durante la funzione e Indovinaunpò ebbe allora un’intuizione: Chichì e Cocò non eran morte invano. Martino adesso l’aspetta sul divano.
Giovanna Baccillieri

NON C’È NIENTE DA RIDERE
Berlino, 1939. Dora aveva realizzato il suo sogno da bambina, era diventata una maestra d’asilo. La primavera pareva sorriderle: il suo ragazzo, Frank, avrebbe presto terminato il servizio militare e si sarebbero sposati. Ma le nuvole che si addensarono in quella stagione, nel cuore dell’Europa, non erano di passaggio. Un cancro si era sviluppato sotto la pelle della società, da lì a poco avrebbe guardato negli occhi tutti, senza distinzione. Dora accudiva i suoi bambini con tanto amore, aveva un sorriso per tutti. Desiderava averne uno, due, tanti, insieme a Frank. Un’ombra però le si posava accanto quando incontrava nei corridoi la sua direttrice, Sarah: “Non c’è niente da ridere – diceva Sarah – corrono tempi brutti!”. In quei corridoi, una lettera infranse i sogni di Dora. Frank non sarebbe più ritornato. Il mondo intero aveva imboccato una strada di non ritorno. Ma solo chi smette di sognare muore veramente. E Dora lo sapeva. In classe spesso raccontava la favola più bella, quella che lei non potette vivere ma che continuava a farla sorridere e proteggere i suoi bimbi dalla Storia.
Francesco Scalamogna

QUANDO MI HAI LASCIATO, MI HAI LASCIATO TRE MUTANDE
“Ti sposerei anche se fossi povera in canna”. Così mi avevi detto.
Ma non lo sono.
Stamattina, quando mi sono svegliata, tu non c’eri.
Non c’erano nemmeno i miei gioielli. I miei abiti Valentino. I miei libri antichi. Il mio Van Gogh autentico. Il mio libretto d’assegni. La mia carta di credito.
C’erano solo tre mutande. Me le avevi regalate tu. Anonime, bianche, di nylon. Roba da poveracci. Dovevo capirlo allora che non eri adatto a me. Probabilmente le avevi comprate al mercato. Non te lo perdonerò mai.
Lucia Cabella

SPEGNI LA LUCE E ASPETTA
Sciolgo il nodo dei pensieri
Spogliandomi di tutte le incertezze
E nuda varco il limite
Tu rivestimi di fantasie indecenti
Tra l’anima e la pelle.
Manuela Verdi

I CAVALLI NON SCOMMETTONI SUGLI UOMINI (E NEANCHE IO)
Guarda quello: il ciccione con la polo a righe e il berrettino messo al contrario. Secondo te ce la farà a mandare la pallina in buca?
– Uhm… se sceglie la mazza giusta, e studia bene la direzione del vento, ha qualche chance. Però sbuffa come un mantice ed è madido di sudore. È completamente fuori forma, dovrebbe perdere una ventina di chili. Speriamo che non gli venga mai l’idea di cambiare sport e passare dal golf all’equitazione. Sai che dolori vederselo arrivare al maneggio? Io marco visita, oppure faccio lo sciopero del cavallo selvaggio!
– E dai, scemo! Mi fai morire dai nitriti! No, seriamente, scommettiamo dieci carrube che riesce a centrare la buca?
– Dieci carrube… mi sembra troppo. Tu che ne dici, Fulmine?
– Dico che siete due stupidi! La dovreste smettere di fare i puledri e diventare cavalli seri. Pensate a mangiare la vostra biada, che tra poco ci tocca andare a lavorare. E finitela, una buona volta, di scommettere sugli umani. E’ solo tempo perso… nessun uomo vale dieci carrube!
Anna Rita Foschini

FACTOTUM
Andrea cambiava lavoro ogni giorno. Attaccava quadri, faceva il cat sitter, l’imbianchino, potava siepi e roseti, svuotava cantine e solai, altro ancora.
Era un factotum in affitto, prenotabile in web, pagato in anticipo.
Un giorno fu contattato per attaccare uno specchio.
Quando arrivò si sorprese nel trovarsi a casa di un ragazzo non vedente.
A cosa gli serviva uno specchio?
Eseguì il lavoro ma restituì i soldi, non li voleva.
Lo specchio l’aveva appeso col cuore, non con viti e tasselli.
Il ragazzo brontolò, insistette per pagarlo.
Andrea fu irremovibile. Tuttavia voleva capire, avere una spiegazione. La chiese prima di andarsene.
– Scusa, posso chiederti a cosa ti serve uno specchio?
– Tutti quanti hanno uno specchio in casa. Anch’io desidero averlo. Per arredo, e per riflettere le belle anime di passaggio, perché possa ricaricarsi di beltà. Inconsapevolmente, l’hai inaugurato tu.
Andrea si sentì pizzicato da una punta di malinconia per lo sfortunato ragazzo.
– Che sciocco, non ci ho pensato! – rispose indossando un sonoro sorriso, che ingoiò lacrime mute e invisibili al cieco, sul suo volto di sconosciuto factotum.
Marina Paolucci

SO BENISSIMO QUANTO HO PECCATO
La chiesa è deserta se si esclude una donnina inginocchiata d’avanti alla statua della madonna. Mi accosto quasi furtivo al confessionale con una lucina accesa, in fondo alla navata. Da tanto volevo confessarmi, ma non avevo il coraggio di farlo. La consapevolezza di essere un peccatore non bastava a farmi superare l’ennesimo peccato d’orgoglio di confessare le mie colpe. Mi inginocchio, raccolgo tutto il mio coraggio e dico tutto d’un fiato: -Padre, so che ho peccato, ho tradito mia moglie, ho mandato all’aria il mio matrimonio e deluso i miei figli ecc. ecc.- Ne ho per un bel po’ e quando smetto aspetto quelle parole di rimprovero e quelle di benevolenza che mi permetterebbero di trovare conforto, ma niente! Aspetto qualche minuto e poi ribadisco:- Padre, mi dica qualcosa, so che ho tanto peccato, ma sono pentito!- Ancora niente, allora scosto la tendina viola del confessionale quel tanto che basta per vedere il vecchio Don Franco che con la testa appoggiata allo sportellino si concede un extra di sonno. Vado via…..strano a dirsi, mi sento lo stesso risollevato!
Annamaria Vernuccio

E COSÌ VORRESTI FARE LO SCRITTORE?
Vorrei fare lo scrittore di un solo lettore.
Quel lettore che possa leggere mille poesie e mille racconti.
Sei tu, nei miei pensieri e nel mio cuore.
Unico lettore che mi interessa.
Fabrizio Megna

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